Alta valle dell’Aterno

Da L’Aquila si prende la Strada Statale 80 del Gran Sasso d’Italia in direzione di Teramo e, dopo 8 km, si giunge a San Vittorino (m 713).

Ai piedi del colle di San Vittorino si stende la pianura dove sorgeva l’antica città di Amiternum. A destra della strada sono le rovine del Teatro, risalente alla fine del I secolo a.C. La cavea, ricavata in parte nelle pendici di una collina e in parte costruita in muratura (con un diametro di circa 80 m, per circa 2.000 spettatori), doveva avere due ordini di gradini (è conservato in parte solo il primo). Dinanzi alla cavea restano strutture di base della scena, che misurava circa 57 m, e il piano dell’orchestra. A sinistra della strada, oltre l’Aterno, si trovano le rovine dell’Anfiteatro. L’edificio, costruito alla fine del I secolo d.C., misura circa 68 m sull’asse maggiore, 53 sul minore e conserva l’intero perimetro, che comprendeva 48 arcate su due piani. Non restano tracce delle gradinate della cavea, che in origine poteva ospitare circa 6.000 spettatori.

Verso nord la valle dell’Aterno – dopo il grosso centro di Pizzoli (m 740) dominato dall’imponente Castello Dragonetti-de Torres (1562) – si restringe e sale all’ampia Conca di Montereale cosparsa di numerosi villaggi tra bei castagneti, piacevoli località di villeggiatura.

Più in alto il paesaggio è stato profondamente modificato dall’ampio Lago di Campotosto (m 1313). Fu realizzato artificialmente, insieme con le relative centrali elettriche della Valle del Vomano, negli anni 1930-1940, allagando l’estesa area torbifera compresa tra il Gran Sasso e i Monti della Laga.

Da Sassa, si prosegue per il Poggio di Roio, dove sorge il Santuario della Madonna di Roio. L’origine del Santuario è legata alla transumanza. Nella seconda metà del ‘500, alcuni pastori rinvennero nel bosco di Ruvo, nelle Puglie, una statua lignea della Madonna. Gli abitanti di Roio costruirono una chiesa e vi collocarono l’immagine miracolosa, che divenne meta di pellegrinaggi.

Nel 1625 si cominciò a costruire l’attuale Santuario, ampliando la duecentesca chiesina dedicata a San Leonardo. Tra il 1643 ed il 1656 furono eseguiti dal marmista Giacomo Lambruzzi l’elegante altare maggiore, i portali, il pavimento, la balaustra, i rivestimenti in marmo delle pareti e il fonte battesimale. Le pareti sono decorate da affreschi secenteschi, tra i quali sono notevoli quelli realizzati nel 1676 da Giacomo Farelli (Roma, ca 1624-Napoli, 1701) sull’altare maggiore.

È possibile salire al Santuario anche percorrendo a piedi la Via Mariana, fiancheggiata da 15 edicole raffiguranti i misteri del Rosario. La via fu inaugurata nel 1961 insieme con il vasto complesso di edifici dell’Istituto Santa Maria della Croce.

Dal Santuario la strada sale ancora per qualche chilometro in mezzo alla bella Pineta di Roio – con una delle più suggestive vedute dell'Aquila, che si adagia nella valle sottostante protetta da una maestosa cerchia di monti – fino alla sommità del Monte Luco (m 987, cioè circa 300 m sulla piana dell’Aterno), che prende nome da un bosco sacro che vi sorgeva nell’antichità.

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Altopiano delle Rocche

Da L’Aquila, prendendo la strada per Celano ed Avezzano, dopo pochi chilometri si incontra Civita di Bagno (m 648), sorta sulle rovine di Forcona, dove rimangono i ruderi dell’antica cattedrale.

Forcona cominciò a divenire importante nel VI secolo quando, distrutta Aveia, vi fu trasferita la sede episcopale insieme con le reliquie di San Massimo.

Durante il dominio dei Longobardi fu centro di un vasto gastaldato dipendente dal Ducato di Spoleto. Fu soppressa nel 1257 da papa Alessandro IV, che trasferì la sede vescovile nella nascente L'Aquila.

La Cattedrale di San Massimo doveva essere un’imponente basilica romanica eretta probabilmente tra il 967 ed il 970. Dai ruderi si può riconoscere la pianta rettangolare con tre absidi semicircolari coronate da archetti romanici e divisa in tre navate da archeggiature a tutto sesto impostate su colonne. Fra questi ruderi, nel 1866, Angelo Signorini rinvenne il pannello frontale del sarcofago che il vescovo Albino si fece preparare nel corso del VII secolo, oggi custodito nella cattedrale aquilana.

Proseguendo, dopo pochi chilometri, si arriva al bivio per San Panfilo d’Ocre (m 850). Dal paese una mulattiera conduce al Castello d’Ocre, dal quale si gode uno splendido panorama sulla valle sottostante. Il paese è collegato anche con il Convento di Sant’Angelo d’Ocre e con il Monastero di Santo Spirito.

Si torna sulla Statale 5 bis, che continua a salire con molte curve ed offre un panorama straordinario sulla conca aquilana e sul Gran Sasso. Proseguendo, si arriva al vasto Altopiano di Rocca di Mezzo o delle Rocche, pianura carsica che si estende tra i contrafforti del Velino e le falde del Sirente.

Circondata da imponenti montagne, è caratterizzata da numerosi inghiottitoi, il maggiore dei quali è Pozzo Caldaio, largo circa 100 m e profondo 15 (dalla strada che porta da Terranera a Rocca di Cambio appare nella pianura come un piccolo lago rotondo), nel quale si inabissa il torrente Rio Gamberale, che ricompare dopo un lungo percorso sotterraneo, alla risorgenza di Stiffe.

Da Terranera è possibile raggiungere le Pagliare. Posto su un costone alle falde del Monte Cagno, domina la conca Rocca di Cambio, il Comune più alto dell’intero arco appenninico. È località di soggiorno estivo, centro di escursioni e di sport invernali.

Particolarmente interessante è la Chiesa di Santa Lucia. Realizzata alla fine del XIII o all’inizio del XIV secolo, presenta una modesta facciata. Tutte le pareti del transetto sono coperte da affreschi trecenteschi di grande valore. Nell’insieme queste pitture richiamano i cicli di Fossa e di Bominaco, più antichi di circa un secolo.

Usciti da Rocca di Mezzo si prende la strada che porta a Secinaro (m 837), attraverso boschi e pascoli dominati dai maestosi dirupi della parete NE del Sirente. Si prosegue per Gagliano Aterno (m 653), addossato alle pendici orientali del Sirente, tra boschi di faggi e di pini. L’imponente Castello che domina il paese fu costruito dalla contessa Isabella nel 1328. Circondato da una doppia cinta di mura, protetto da un largo fossato e da robusti torrioni circolari coronati da merlature, l'edificio principale, molto rimaneggiato, conserva originali finestre bifore e monofore. Nel grande cortile si notano gli stemmi delle varie famiglie che hanno posseduto il castello, un'elegante loggia si affaccia sulla sottostante vallata dell’Aterno.

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Altopiano di Navelli

Da L’Aquila, seguendo la Statale 17, superato San Gregorio tra campi coltivati ed estesi mandorleti, si giunge a Poggio Picenze (m 760) e si continua a salire fino all’Altopiano di Navelli.

Le particolari condizioni climatiche di questa zona consentono la coltivazione dello zafferano, una spezia rarissima che, utilizzata oggi soprattutto in gastronomia, in passato è stata preziosa in medicina e nella cosmesi ed ha rappresentato una delle principali risorse dell’economia aquilana.

Prendendo la strada che porta a Castelnuovo (m 850) e proseguendo per Prata d’Ansidonia, si trovano i ruderi di Peltuinum. La città era attraversata da est ad ovest dalla Via Claudia Nova. Si conservano lunghi tratti delle mura di cinta con i resti della porta occidentale, al di fuori della quale rimane un nucleo di monumenti funerari. Degli edifici pubblici si conserva solo il Teatro, di epoca tardorepubblicana o augustea, edificato, contrariamente al solito, fuori dalle mura.

Fuori dell’abitato di Prata d’Ansidonia (m 830), a circa un chilometro, sulla sommità di un colle ai margini della Piana di Navelli, è il Borgo fortificato dei Camponeschi che, abbandonato dagli abitanti negli anni Cinquanta, oggi è quasi completamente restaurato.

Si prosegue per San Pio delle Camere (m 800), costruito sulle grotte che servirono, in età classica, per il ricovero degli armenti della vicina Peltuinum. L’abitato è dominato da un originale Castello-recinto del secolo XIII a pianta triangolare.

A Caporciano (m 826) e a Bominaco (m 974), dove sorgono due chiese importanti: Santa Maria Assunta e San Pellegrino.

La Chiesa di Santa Maria Assunta, la più bella di tutta l’architettura romanica abruzzese, fu costruita all’inizio del XII secolo. Dopo i lavori di restauro del 1930-40, si presenta riproponendo lo schema delle prime costruzioni basilicali romaniche. L’originale terminazione piana delle navate sembra preannunciare le caratteristiche facciate delle chiese medievali aquilane. Probabilmente tra il ‘300 ed il ‘400 tutta la chiesa fu arricchita da preziosi affreschi, dei quali purtroppo restano solo pochi frammenti.

L’Oratorio di San Pellegrino, il Santo al quale era intitolata la primitiva comunità monastica, fu costruito, nel 1263. Il portichetto che precede l’ingresso principale fu aggiunto nel XVIII secolo impiegando rocchi di colonne di età romana. L’interno è un’aula rettangolare con volta ogivale, divisa in quattro campate da archi gotici. Particolarmente interessanti sono le grandi figure, un drago e un grifo, scolpite in bassorilievo sui plutei che delimitano il recinto presbiteriale.

L’intera superficie delle pareti e della grande volta carenata è completamente coperta da preziosi affreschi che costituiscono uno dei più importanti cicli della pittura italiana delle origini. Furono eseguiti da tre pittori, convenzionalmente chiamati “Maestro della Passione”, “Maestro dell’Infanzia” e il “Miniaturista”. Ancora legati ai modi bizantini, ma sensibili alle tendenze di rinnovamento provenienti d’Oltralpe, essi raccontano la Natività di Cristo, la sua Vita, la Passione, insieme con figure di Santi, Re, Patriarchi e Profeti.

Si raggiunge, quindi, Navelli (m 751), di aspetto medievale, dominato dal cinquecentesco Palazzo Santucci. All’uscita del paese, si trova a sinistra la strada per Capestrano, con bellissimo panorama sulla Valle del Tirino, in fondo alla quale, isolata fra i pioppi, si trova la Chiesa di San Pietro ad Oratorium.

La pianta è quella delle primissime chiese romaniche: tre navate ed altrettante absidi, pilastri a sezione rettangolare e archi a pieno sesto, senza campanile. Della costruzione del XII secolo rimangono il paramento della facciata, originale, il fianco destro con il portale con frammenti del secolo IX, e l’abside centrale che conserva il più antico ciclo di affreschi d’Abruzzo (prima metà del XII secolo). In alto è raffigurato il Cristo in trono fra i simboli degli Evangelisti e con un libro aperto, sotto sono raffigurati i Ventiquattro Vecchi dell’Apocalisse; nell’abside, entro archi bizantineggianti, sono figure di Santi.

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Gruppo del Gran Sasso

Il gruppo del Gran Sasso d’Italia è un imponente massiccio calcareo che si estende per circa 35 chilometri.

Comprende le vette più alte e rocciose dell’Appennino: Monte Corvo (m 2623), Pizzo d’Intermesoli (m 2635), Monte Prena (m 2561), Monte Camicia (m 2564), Pizzo Cefalone (m 2533), il Corno Piccolo (m 2655) e il Corno Grande (m 2912).

Il Calderone, sul Gran Sasso, è il corpo glaciale più a sud d'Europa. A fine Ottocento c'erano 70-80 metri di ghiaccio. Negli anni '90 era un unico ghiacciaio; ora si è frammentato in due glacionevati (non ha più il movimento verso valle dei ghiacciai) e l'area totale è diminuita del 60%.

Continua a resistere alle estati calde per il grande accumulo di neve, che a maggio può arrivare anche a 7-8 metri, e alla presenza di una coltre di detriti che lo isola dal calore dei raggi solari.

Il primo contributo alla valorizzazione turistica del Gran Sasso fu dato dalla Sezione romana del C.A.I. con la costruzione, rispettivamente nel 1886 e nel 1908, dei Rifugi Garibaldi (m 2230) e Duca degli Abruzzi (m 2388).

Nel 1934 fu costruita la funivia che da Fonte Cerreto (m 1107), sopra Assergi, arriva, con un percorso di poco più di tre chilometri e con un dislivello di 1005 metri, alla Sella di Pratoriscio (m 2112), sul margine occidentale di Campo Imperatore, altopiano che si estende a un’altitudine di circa 1800 metri e circondato da una serie di laghetti di origine carsica. Oggi la nuova funivia, in funzione dal 1988, è in grado di trasportare 700 persone l’ora direttamente sulle piste dei nuovi impianti di sci del versante aquilano del Gran Sasso.

Non lontano è l’Osservatorio astronomico, uno dei più alti ed importanti dell’Europa meridionale (visitabile su prenotazione) e il Giardino alpino di Campo Imperatore, uno dei pochissimi giardini di altitudine degli Appennini che, inaugurato nel 1952, occupa circa 3000 m2.

A circa 10 chilometri da Campo Imperatore, sulla strada che conduce a Castel del Monte, appena superato il bivio, sulla destra, una mulattiera conduce ai ruderi del Monastero di Santa Maria del Monte di Paganica (m 1616).

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Mammuth della città dell’Aquila

Il Mammuthus Merdionalis vestinus, meglio conosciuto con il nome di Mammuth aquilano, è uno dei simboli della città dell’Aquila.

Lo scheletro venne scoperto e recuperato il 25 marzo del 1954 nel Comune di Scoppito, un piccolo paese a pochi chilometri dalla città capoluogo. In questa conca aquilana un tempo c’era un bacino lacustre dove vivevano elefanti e rinoceronti, ippopotami, cervi e cinghiali.

Si tratta di uno fra gli esemplari più completi rinvenuti in Europa: conservato perfettamente e quasi integro, con ben 149 ossa.

Lo scheletro appartiene a un esemplare di maschio adulto alto 4 metri e lungo quasi 7 metri (dalla punta della zanna all’estremità della coda).

Dal 1960, quando fu esposto al pubblico per la prima volta, lo scheletro è conservato nel Bastione Est del Forte Spagnolo, sede storica del Museo nazionale d’Abruzzo.

Dopo il sisma del 2009 che ha fortemente danneggiato l’edificio, anche il Mammuth ha avuto bisogno di un restyling: grazie a una donazione del corpo della Guardia di Finanza, lo scheletro è stato smontato e sottoposto ad accurate indagini diagnostiche e a un rigoroso intervento conservativo da un’equipe di esperti. Le ricerche condotte in occasione di questo terzo intervento di restauro hanno permesso di conoscere nuovi aspetti della storia dell’animale.

Il Mammuth, risalente a più di un milione e mezzo di anni fa, doveva pesare più di 16 tonnellate, molto simile a un elefante con le zanne più curve e la bocca più sporgente. Questo “elefante gigante” aveva una dieta particolare, era amante della frutta e delle foglie, ne consumava circa 200 kg al giorno e beveva 80 litri d’acqua.

La mancanza della zanna sinistra, probabilmente persa in uno scontro con un altro mammut maschio, gli avrebbe creato una sorta di scoliosi alla colonna vertebrale e una postura scorretta e sbilanciata.

Il Mammuth è morto di vecchiaia a 55 anni sulla sponda di uno specchio d’acqua.

Nuovo allestimento

Ad accogliere i visitatori c’è un'illustrazione del Mammut a grandezza naturale realizzata da Benoit Clarys, famoso museografo specializzato in riproduzione di immagini di paleontologia, preistoria e archeologia.

È possibile immergersi e vedere da vicino la struttura ossea del Mammuth grazie alla tecnologia e a tour virtuale nel quale si può rivivere il combattimento durante il quale perse la zanna sinistra, e osservare l’andatura e la corsa dello scheletro del Mammuth.

Il Mammuth “superstar” della città dell’Aquila è uno tra i più importanti reperti del territorio abruzzese; non ti resta che ammirarlo con una visita al MUNDA

Biglietti

€ 4.00 intero - € 2.00 ridotto - gratuito sotto i 18 anni.

Con lo stesso biglietto puoi visitare il MUNDA negli orari di apertura della sede del Museo in via Tancredi da Pentima – ex Mattatoio, L’Aquila.

Acquisto del biglietto online

Acquista il biglietto online tramite piattaforma Vivaticket con diritto di prevendita di € 1. Potrai scaricare i biglietti in formato elettronico dalla mail di conferma di acquisto. Recati all’entrata del Castello Cinquecentesco 15 minuti prima del turno prenotato e porta con te la mail di conferma di acquisto, stampata o sul tuo smartphone o tablet.

Acquista il biglietto

È possibile acquistare i biglietti il giorno stesso, se disponibili, presso la biglietteria di fronte all’entrata del Castello Cinquecentesco (senza diritto di prevendita).

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Sorgenti del Fiume Vera

La Riserva delle “Sorgenti del Fiume Vera”, con i suoi 30 ettari di estensione, si caratterizza per la presenza di importanti sorgenti del massiccio del Gran Sasso.

Le sorgenti del fiume Vera sgorgano al piede dei rilievi carbonatici del massiccio del Gran Sasso e sono caratterizzate da un’estrema stabilità del regime, con portata costante nel corso dell’anno.

Tre percorsi portano i visitatori a scoprire l’intera Riserva in poche ore:

Le sorgenti sono ambienti di particolare interesse idrologico e biologico e sono tra i più importanti habitat d’acqua dolce continentale, ospitando una fauna peculiare ad alto tasso di endemismo.

Per quanto riguarda la vegetazione, sono presenti specialmente pioppi neri (Populus nigra) e salici di varie specie (soprattutto Salix alba), oltre a un lussureggiante sottobosco con equiseti (Equisetum arvense) e farfaracci (Petasites hybridus). Abbondano anche i cespugli di biancospino e prugnolo.

Le acque del Vera hanno costituito la risorsa più importante per lo sviluppo dei centri di Tempera, Paganica e Bazzano. Oltre a irrigare i campi della pianura limitrofa, l’acqua è stata sfruttata come forza motrice, già a partire dal XV secolo (mulini, la cartiera del 1717, la rameria).

Il fiume Vera,  dopo circa 3 km, confluisce nel Raiale, affluente di sinistra dell’Aterno.

Per maggiori informazioni

Sorgenti Fiume Vera

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Valle Subequana

Da L’Aquila si prende la Strada Statale n. 17 fino a San Gregorio e poi la Statale n. 261 Subequana e presto si incontra il bivio per Fossa, l’antica Aveia dei Vestini.

Prima di entrare nel paese, una stradina a destra conduce alla Chiesa di Santa Maria ad Cryptas. Sorge ai piedi del Monte d’Ocre e fu eretta nella seconda metà del ‘200 da maestranze cistercensi. La denominazione è dovuta alla presenza di alcune grotte scavate nelle vicinanze.

Le pareti sono completamente coperte da preziosi affreschi. Le pitture sulla parete interna della facciata, sulla parete di destra e nell’abside sono di scuola benedettina della fine del XIII secolo e raffigurano scene tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento e Santi. Sulla parete di sinistra importanti affreschi senesi trecenteschi narrano storie della vita della Vergine. Un fregio che nasce dalla bocca di un drago divide in lunghezza la parete di destra, dove sono dieci riquadri con altrettanti dipinti. Nella parete interna della facciata è dipinto un grandioso Giudizio Universale, eseguito su quattro strisce orizzontali. 

Uscendo dall’abitato, si prende la strada che sale a sinistra e che conduce, a meno di un chilometro, al Monastero di Santo Spirito d’Ocre. Fu fondato nel 1222 dal Beato Placido da Roio. L’imponente costruzione, che si presenta come una vera e propria fortezza, mostra sul lato verso la montagna una poderosa muraglia. Se uscendo da Fossa, si prende la strada che sale a destra, si arriva al Castello di Fossa, tipico recinto che racchiudeva il paese medievale.

Più avanti, a due chilometri, sorge il Convento di Sant’Angelo d’Ocre. Il monastero, voluto dalla contessa Sibilia d’Ocre per le monache benedettine, fu costruito su una rupe sporgente dalla montagna da maestranze cistercensi nel 1242.

Dal convento, una stradina in forte salita porta al Castello d’Ocre. Fu il luogo fortificato più importante della media valle dell’Aterno. Distrutto dagli Aquilani intorno al 1293, fu poi ricostruito; preso da Fortebraccio nel 1424 e riconquistato dagli Aquilani nell’anno successivo, oggi è in rovina. Si tratta di un borgo murato: al suo interno si trovano resti di numerose case, allineate su quattro strade parallele e una chiesa a tre navate, presso l’angolo sud-est.

Si prosegue per San Demetrio nei Vestini (m 672), grosso centro formato dalla fusione di sette frazioni. Appena fuori dell’abitato è il piccolo Lago Sinizzo, di origine carsica.

Nella parete rocciosa che sovrasta Stiffe, dominato dalle rovine dell’antico castello, è l’ingresso alle Grotte di Stiffe. Situate a m 696, con uno sviluppo di 650 m ed un dislivello di 30 m, sono interamente percorse da un fiume sotterraneo le cui acque provengono dai numerosi inghiottitoi dell’altopiano carsico di Rocca di Mezzo. Si possono ammirare stalattiti e stalagmiti all’interno di ambienti grandiosi nei quali laghetti, rapide e cascate alte fino a 20 m creano uno scenario fantastico.

Informazioni sulle visite alle grotte.

Da Fontecchio si raggiunge Santa Maria del Ponte (m 558). sulla strada di Tione. La chiesa risale alla seconda metà del XII secolo e custodiva alcune opere d’arte custodite nel Museo Nazionale di L’Aquila, quale il Trittico del Maestro di Beffi, la Bibbia Atlantica datata all’VIII secolo, il gruppo del Presepio con la Madonna, il Bambino e San Giuseppe, in terracotta policromata, di Saturnino Gatti (1463-1521).

Beffi (m 642) domina la valle dell’Aterno dall’alto di una parete rocciosa e con il suo castello, assieme alla Torre di Goriano, costituiva il nodo centrale del sistema difensivo della valle Subequana.

Da Beffi si raggiunge Castelvecchio Subequo (m 490) particolarmente interessante per le Catacombe, della fine del IV secolo, una delle più antiche testimonianze del Cristianesimo in Abruzzo, e per la Chiesa di San Francesco.

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